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Belushi 1995

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PERSONAGGI

John Belushi
Dan Aykroyd
Bernie Brillstein
Judy Belushi
Michael Eisner
April Milstead
John Landis
Jay Sandrich

LA SCENA
La scena è divisa in tre zone: la prima è in prima quinta e può allungarsi fino alla platea mediante una pedana centrale lunga e stretta; qui avvengono le esibizioni musicali dei “Blues Brothers” e le scene tratte dal “Saturday Night Show”, la trasmissione televisiva che rivelò John Belushi e Dan Aykroyd. La seconda è una zona neutra che funge da interno della roulotte, da angolo della casa di Judy e da zona/ufficio per le riunioni della Paramount. La terza è una elegante camera d’albergo, lo Chateau Marmont di Hollywood, padiglione n. 3.

LE MUSICHE
(da “The Blues Brothers” Gimme some lovin’ Everybody needs somebody to love, I’m a soul man, Theme from rawhide, Guilty. Altre musiche: Il motivo conduttore; Una ragazza che si chiama April; Georgia on my mind, di Ray Charles; L’ape da una tonnellata, dei Ventures; un ragtime, motivi punk e rock.

PROLOGO

The Blues Brothers
Entrano John Belushi e Dan Aykroyd, i Blues Brothers. Hanno occhiali ray-ban neri modello 5022-G15, vestono di nero e calcano in testa cappelli neri. Aykroyd porta una 24 ore ammanettata al polso, Belushi giocherella con una chiave appesa ad una lunga catena. Si avvicina a Dan e apre la valigetta. Dan tira fuori l’armonica. I due cominciano il loro numero musicale, su basi registrate.
La canzone, coreografata, è “Gimme some lovin’” (Winwood-Davis).
A fine canzone, Dan esce.

 

PRIMA PARTE

1 – L’intervista
John è seduto su uno sgabello, al centro della scena, ed è messo in luce da uno spot che spiove su di lui.

JOHN: Buon giorno, Dottor Rosenbluth.
VOCE: Buon giorno, signor Belushi. Allora, sentiamo: quante sigarette fuma, al giorno?
JOHN: Tre pacchetti.
VOCE: Beve alcolici?
JOHN: Sì, ma solo quando sono in compagnia.
VOCE: Assume medicinali?
JOHN: Sì, ma poi li licenzio.
VOCE: Non faccia lo scemo. Prende medicine?
JOHN: Del Valium, qualche volta.
VOCE: Fuma marijuana?
JOHN: Sì, quattro o cinque volte la settimana.
VOCE: Sniffa cocaina?
JOHN: Tutti i giorni. Più volte al giorno.
VOCE: Messalina?
JOHN: Regolarmente.
VOCE: Allucinogeni?
JOHN: Sì, acidi. Molti trips.
VOCE: Eroina?
JOHN: No, quella no.
VOCE: Anfetamine?
JOHN: Quattro o cinque tipi.
VOCE: Barbiturici?
JOHN: Prendo il “Quaalude”, sennò non riesco a dormire.
VOCE: Deve assolutamente smettere: la cocaina e tutto il resto.
JOHN: Perché devo smettere? La prendono tutti – perché io devo smettere? Mi fa stare meglio, dopo mi sento meglio…
VOCE: Perché sta rischiando la pelle.
JOHN: Tutti mi dicono quello che devo fare. Mi mettono dentro le loro caselle, mi ficcano dentro i loro orari, io devo solo starci. È opprimente. La coca mi dà il senso della libera scelta.
VOCE: È meglio che consulti uno psichiatra, signor Beluschi.
JOHN: No! Non ho nessun bisogno di strizzacervelli. Non ho il tempo di andarci e non mi va! La coca non è un problema, per me, posso smettere quando voglio. E poi non mi inietto niente. Amo Judy, mia moglie, e non farei niente che potesse ferirla.
VOCE: Io non posso fare niente per lei.
JOHN: Mi faccia almeno una ricetta per il “Quaalude”. Trenta scatole. Non riesco a dormire, senza “Quaalude”.
John si alza, si leva la giacca. È sporco, trasandato, con la camicia fuori dei pantaloni. È finito l’effetto luce/interrogatorio. In sottofondo: musica, “I don’t know”, dei Blues Brothers. Si stiracchia. Ingurgita una manciata di pillole. Piscia sul pavimento. Poi si butta sul letto. Entra come una furia John Landis, il regista di “The Blues Brothers”, 29 anni, barba, basso, volitivo.
LANDIS: Cos’è ‘sta novità? È vero che non vuoi venire a lavorare? Che non ti va? Che non vuoi uscire da questa fottutissima roulotte?
JOHN: (ridacchia) Sai come la chiama la roulotte, Jack Nicholson? La camera delle scorregge. Divertente, no?
LANDIS: Per niente, fa schifo. Come qui dentro. È tutto sporco. Quella cos’è, piscia?
JOHN: No. È Courvoisier. Cognac. Mi s’è rovesciato.
LANDIS: Mi stai rovinando, John! Quello che fai è antieconomico! Non fare questo al mio film! Non farmi questo! Pensa a Judy. Pensa alla tua carriera! Se non vieni subito sul set chiamo il fotografo e ti faccio fotografare così, poi do il materiale alla stampa. Domani leggerai su qualche giornale scandalistico: John Belushi nella roulotte, fatto di droga, durante la lavorazione di “The Blues Brothers”, il film di John Landis.
JOHN: È un titolo troppo lungo.
LANDIS: Allora, ti decidi? Non c’è modo di uscire da questa follia? (trova una busta) Questa cos’è, coca? Nel cesso! (prende la busta, va nel bagno che si intravede in fondo, getta la coca e tira la catena. John è furioso. Si scaglia contro John Landis, per colpirlo. Ma l’altro lo atterra con un pugno) Cristo santo, te lo sei voluto. Bene. Ho appena messo ko la star del mio film, il mio amico John Belushi. Sei contento?
JOHN: (a terra, piagnucola) Mi vergogno. Mi vergogno tanto.
LANDIS: Si può sapere che cazzo ci trovi, in quella roba? Vale la pena mettere tutto a repentaglio?
JOHN: Ne ho bisogno. Ne ho bisogno. Tu non puoi capire.
LANDIS: Ok, ok. Ora rimettiti un po’ in senso. Tra cinque minuti si torna sul set.
(Landis esce. John si rialza, si massaggia la guancia dolorante. Entra Judy. Piccola, minuta, 28 anni).
JUDY: John! Cos’è successo?
JOHN: Niente, Judy. Quello stronzo di regista mi ha buttato la cocaina nel water. Mi sento umiliato. Non mi si può trattare così. (sorride) Ma gliel’ho fatta pagare. Gli ho tirato un pugno proprio sul naso.
JUDY: L’ho incontrato mentre usciva, non mi sembra che tu gli abbia rotto la faccia.
JOHN: (si autocommisera) La verità è che mi fanno lavorare troppo. Poi, per giorni e giorni, niente: sto lì come un broccolo ad aspettare una scena che non si gira mai per motivi tecnici… Sto a ciondolare senza fare un cazzo, mi stanca di più che lavorare. Adesso finalmente hanno bisogno di me. Che aspettino. Crepino. Non possono darmi la colpa per aver mandato a monte la giornata. Oggi non mi va, e allora? Sarò padrone di fare una volta come dico io, o no? Hai un po’ di coca, Judy?
JUDY: No, John.
JOHN: Posso uscire a fare quella scena solo se prendo un po’ di coca. Non puoi andare a procurartela?
JUDY: Non ci penso nemmeno.
JOHN: Perché? Una volta eri più collaborativa.
JUDY: Hai ragione, le ho provate tutte. Ho provato a drogarmi con te, ho provato a non drogarmi con te. Ho provato ad andare da un analista, ho provato a non andarci… Ora ho deciso: basta! Ho chiuso con la coca.
JOHN: Ma perché? Non dà nessuna assuefazione. Mi dà solo una botta d’energia.
JUDY: Non dà assuefazione? Che cazzo dici, John? A me, la racconti? Non dà assuefazione? Ma guardati! Non sei assuefatto, tu?
JOHN: No. È solo routine.
JUDY: Routine? La chiami routine? Vuoi che te la descriva io, la tua giornata/tipo di routine?
JOHN: Sentiamo, parli come se la conoscessi meglio di me.
JUDY: Ti alzi nella tua puzzolente Roulotte, verso le dieci, e ti fai la prima sniffata. Un grammo di coca in un colpo solo. Per un’ora stai bene, vai sul set, lavori. Dopo un’altra ora stai così così; poi cominci a calare a vista. Non ricordi più le battute. E allora via, un altro sniffo. Arrivi fino al pomeriggio. Ma ci sono ancora due ore di job e non ce la fai se non tiri per la terza volta. Così ci dai sotto e arrivi alla fine. Vai subito a rinchiuderti nella tua Roulotte e per premiarti prendi uno specchio, ci allinei la brava strisciolina di coca e poi fai a gara con qualche comparsa o con qualche puttanella a chi tira più in fretta. Vinci sempre tu. Soddisfatto ti ficchi a letto vestito e con tutte le scarpe. Hai fatto fuori sette o otto grammi di coca. Cinque o seicento dollari in un giorno solo.
JOHN: Be’, che problema c’è? Dimentichi i soldi che abbiamo guadagnato con “Animal House”?
JUDY: Ma chi ti sta parlando di soldi?
JOHN: Di che parli?
JUDY: Parlo della tua vita! Hai proprio deciso che ti devi suicidare?
JOHN: Non hai capito un cazzo, Judy. Prendiamo la droga solo per ritardarlo, il suicidio.
JUDY: Vuoi dire che senza la droga ti saresti già suicidato? E perché?
JOHN: Lo sai che non mi sopporto, tesoro. Mi ci vuole un bel po’ di roba, per far finta di essere qualcun altro.
JUDY: Io non ti capisco.
JOHN: Non puoi capire cosa vuol dire essere John Belushi.
JUDY: So cosa vuol dire essere la moglie, di John Belushi.
JOHN: Be’, non è la stessa cosa. Per me è diverso.
JUDY: Diverso in che?
JOHN: È il mio stile di vita.
JUDY: Se è il tuo stile di vita, allora non credo che possiamo continuare a vivere insieme. Ci crea troppo problemi, il tuo stile di vita.
JOHN: Ma no, Judy. Non dirmi così. Non mi puoi lasciare, io ho solo te, conosco solo te, tu sei l’unica donna che sopporto, le altre mi fanno cagare. Io… non ho bisogno della droga, posso farne tranquillamente a meno.
JUDY: E il tuo stile di vita?
JOHN: Mi ci sciacquo le palle. Cambierò. (entra John Landis) Vaffanculo! Non sono ancora pronto! Se non esci di qui ti ammazzo! (John Landis ha un momento di stizza. Poi esce) Hai visto? Ha avuto paura che gli dessi un altro pugno…
Entra Dan Aykroyd.
DAN: E allora, John? Come stai?
JOHN: Sto bene. Non mi piace, lì fuori. Troppo casino.
DAN: È il set, John.
JOHN: Lo so, lo so. Ma ho bisogno di calma.
DAN: Qui dentro?
JOHN: Qui dentro. Si sta tranquilli. C’è silenzio. Riesci a sentire se gli si rizza a un topo.
(Dan e Judy ridono).
DAN: Andiamo, John. Qualsiasi cosa sia successa, il film non si può fermare.
JOHN: Sono stanco, Dan. Quattro giorni qui a Chicago per il film, poi tre giorni a New York per la tivvù. È massacrante.
DAN: Se non fosse per “Saturday Night Show” non saremmo qui. È grazie alla televisione che siamo diventati famosi.
JOHN: A me mi fa vomitare, essere famoso.
JUDY: Balle. Se qualcuno non ti chiede l’autografo t’incazzi come una jena.
DAN: E vai a smoccolare con l’ufficio stampa della produzione.
JOHN: E non ho ragione? Sono degli incapaci. Anche se gli dai la notizia della morte di Kennedy, non sanno che farsene.
DAN: Ti aiuto io, John. È una scena molto semplice. Devi soltanto appoggiarti ad una macchina, in una Stazione di Servizio, rompere una bottiglia e poi annunciare che dobbiamo andare al concerto. Vieni.
John si lascia convincere. Esce, sorretto da Judy e da Dan. Musica: alto, un assolo di sax.

II – “Saturday Night Show”
Musica: un motivo dalla famosa trasmissione televisiva.

VOCE ANNUNCIATRICE: “Saturday Night Show”, il vostro varietà del sabato sera seguito da venti milioni di telespettatori!
Entra John Belushi, in un rettangolo di luce che evoca uno schermo televisivo. Applausi.
JOHN: La vostra attenzione, per favore. (applausi) Siamo qui a Woodstock e io sono John Beluschi. (applausi) Applaudite ora, perché non sono sicuro che applaudirete ancora, dopo che vi avrò detto quello che devo dirvi. (applausi) Bravi. Dunque sono a Woodstock nel ruolo di presentatore del nostro Festival Rock! (applausi) Il Primo Festival di Pace, Amore e Morte! Okay, okay, lo so che lo sapete tutti perché siamo venuti in tanti, a Woodstock. Siamo venuti per un bel suicidio di massa! Come certamente sapete, nel mondo non c’è abbastanza cibo, non c’è abbastanza da mangiare. Allora ricordatevi che il vostro vicino è vostro fratello, ma è anche la vostra cena. (ride sinistramente) D’altra parte, siamo tutti mortali: e tutti meritiamo di morire. Siamo tutti oppressori, tranne i minatori froci di pelle nera, figli di padre pakistano e di madre portoricana. Purtroppo anche i mezzi di autosterminazione sono in mano ai ricchi, che controllano perfino le lamette da barba. Dobbiamo perciò trovare tutti insieme un bel modo creativo per farci fuori. Ce li avete tutti, i sacchetti di plastica trasparente per la colazione?
VOCE OFF FOLLA: Sìììì!
JOHN: La colazione l’avete fata?
VOCE OFF: Sìììì!
JOHN: Bene, faremo così. Ognuno di voi… quanti siete, centomila, trecentomila?
VOCE OFF: Un milione!
JOHN: Un milione? Cazzo… Come dicevo, ognuno di voi si metterà sulla testa il suo sacchetto di plastica, fino a soffocare. Ci siamo?
VOCE OFF: Sìììì!
JOHN: Pensate che bella scena d’insieme si godrà da quassù. Un milione di teste dentro i sacchetti di plastica trasparente, come preservativi pieni. Grandioso. La morte in diretta di un milione di teste di cazzo. (applausi) Ed ora, cari amici, per rallegrare la vostra agonia posso presentarvi la ALL STARS DEAD BAND, la BANDA TUTTI MORTI! Ai microfoni le voci di Jim Morrison e Janis Joplin, morti di overdose. (applausi) Alla chitarra ritmica Brian Jones, morto di overdose. (applausi) All’ukulele Marylin Monroe, morta di overdose di barbiturici. (applausi) Alle tastiere due celebri tastatori: John e Bob Kennedy, morti di overdose di piombo. (applausi deliranti) Ed ora mi lancerò in una parodia di Joe Cocker. Lui è ancora vivo, ma la critica ha scritto che dopo la mia performance deve andare a buttarsi a mare…
(Musica. John canta. “With a little help from my friends”, di Cocker. La sua interpretazione è più che mai cockeriana: microfono maltrattato, mosse scomposte e sincopate. Al momento clou dell’esibizione, si versa addosso una pinta di birra. Poi beve un sorso di birra e la sputa in aria, come una balena. Esce correndo. Entra Dan Aykroyd, truccato da Nixon. Rientra John).
DAN: Sei grande, John. Meglio di Lenny Bruce.
JOHN: Be’, mi sembra un paragone un po’ esagerato. Per Lenny. Cosa viene, adesso?
DAN: Ma non lo vedi? Sono truccato da Richard Nixon.
JOHN: Ah, sì… e io devo fare Henry Kissinger… ma la parrucca da Kissinger? Dove cazzo l’ha messa quella stronza della direttrice di scena? (cerca affannosamente la parrucca)
DAN: Presto! Devo entrare, c’è già la luce rossa…
JOHN: Deve farmelo apposta, la maledetta. Mi boicotta perché non le ho voluto dare l’uccello…
DAN: Ah sì? E io pensavo che ce l’aveva con te perché glielo avevi dato…
JOHN: Ah, eccola qui, meno male… con gli occhialini di tartaruga… (esce di corsa).
Dan entra in campo, come Nixon. Si siede dietro il tavolo. Si alza. Fuma. Spegne la sigaretta nel portacenere. È visibilmente nervoso.
NIXON: Quando il gioco si fa pesante, devono entrare in campo gli orsi. Henry!... Henry!...
Entra Kissinger/Belushi. Parrucca bionda a riccioletti, occhialini spessi di tartaruga. Parla con accento tedesco.
KISSINGER: Buon ciorno, sig-nor Presidente. Ho a pena parlato con una graciosa fig-liola e con suo cenero preferito e ach! Loro mi hanno tetto che lei moltissimo preoccupato, sig-nor Presidente per fia di Vatergate.
NIXON: Watergate, Henry, non Vatergate. Mica è un cesso.
KISSINGER: Ach, io pensafo che sempre merta era…
NIXON: Henry, tu lo sai che io non sono un imbroglione, vero?
KISSINGER: Oh ja, io so, io so, ma americani sanno? Qvesto è il punto. Ho sentito in tiffù…
NIXON: Dove? Quando imparerai a parlare americano, Henry?
KISSINGER: Tiffù, tiffù, come dite foi telefisione? Dunqve ho sentito in tiffù il Referendo Bill Graham, ah, è teribile, teribile, lui dicefa: “Che tu sia maletetto ta Tio, Richard Nixon, sei un gran fig-lio di puttana… Lefa il tuo culo da poltrona e fattene fuori dai colioni… Con le tue menzog-ne ti sei sprofontato in un mare di merta… Fai fare in culo!” teribile, teribile, tutto popolo amerikano ha sentito qveste cose!
NIXON: Sì, ma tu lo sai che io sono innocente! Henry, sii franco!
KISSINGER: Io tetesco, sig-nor Presitente.
NIXON: Henry, tu lo sai che io non c’entro niente con il Watergate, con le intercettazioni!!! Non so niente di microfoni spie! Non so niente del tipo che hanno ammazzato in Florida!
KISSINGER: Chi hano amazato in Florida, sig-nor Presitente?
NIXON: Non lo sai di quel cubano figlio di cubana? Non importa.
KISSINGER: No, importa.
Nixon afferra Kissinger e lo fa inginocchiare.
NIXON: Henry, inginocchiati e prega! Prega per me! Prega per me!
KISSINGER: No posso, sig-nor Presitente…
NIXON: Ti ordino di pregare!
KISSINGER: No!
NIXON: Sì!
KISSINGER: Nein!
NIXON: Ja!
KISSINGER: (con improvviso piglio da governante. Tedesca) Ora su, bono sig-nor Presitente, ci infiliamino piciamino e antiamo a fare nanna, ja? Domani lei afrà ciornata molto, molto faticante.
NIXON: Ma allora tu… non vuoi pregare per me?
KISSINGER: Ecco, è una quistione di… relicione.
NIXON: (ha capito, finalmente) Ebreo!
KISSINGER: Oh sig-nor Presitente, adesso non forrà ricominciare con storia Olocausto, nein?... E adesso mi foglia scusare ma defo antare a ortinare a Comando Aereo Strategico di disobetire a tutti gli ordini presidenziali! Auf Wiedersehen!
NIXON: Certo, certo, vai pure. (mentre Kissinger esce) Ebreaccio! In Libano, ti mando.
(Nuovo numero musicale di John e Dan: “Seet home Chicago”).

III – White Horse Tavern
New York, White Horse Tavern. Musica: un blues in sottofondo. Judy e John si siedono su due sgabelli. Bevono. John sembra ingrugnato.

JUDY: Che fai, John?
JOHN: Niente. Cioè, tutto.
JUDY: Non fare lo scemo. Perché sei triste?
JOHN: Non mi sento triste. Mi sento stronzo, è diverso.
JUDY: Scommetto che ti senti stronzo perché è Natale.
JOHN: Ci hai indovinato.
JUDY: Che fai, mi prendi in giro?
JOHN: Ma no, giuro! È proprio così. A Natale mi sento stronzo. Le feste mi deprimono. Non mi sono mai divertito, a Natale: neanche quand’ero bambino. Sai, c’erano sempre tanti dolci, per le feste. Ma ero grasso e appena prendevo una pasta mia madre, implacabile, mi piombava addosso e mi diceva: “Lascia stare, John, sei già abbastanza rotondo, sembri il figlio di Ollio!” La odiavo. L’avrei strozzata.
JUDY: Ricordi quando studiavamo, al College? Il nostro motto era: “Uccidi il padre e la madre”
Ridono. Bevono.
JOHN: La vedi questa sedia, Judy? Beh, proprio qui è morto Dylan Thomas, dopo diciotto whisky lisci. Ma forse erano venticinque.
JUDY: Dylan Thomas?
JOHN: Certo, Dylan Thomas. Il poeta inglese. Un grande poeta, sai? Bob Dylan lo ammirava tanto che lo ha preso da lui, il suo nome d’arte.
JUDY: Non lo sapevo. Parlami di questo Dylan Thomas.
JOHN: Veniva qui alla “White Horse Tavern”. Si sedeva proprio su questa fottutissima sedia e giocava con la morte. (recita)
“La forza che preme lungo il verde stelo
è la stessa che spinge il fiore dei miei verdi anni.
È questa forza che fa scoppiare gli alberi
è questa forza che mi distrugge”.
È qui che è venuto a morire.
JUDY: Mi fai venire i brividi, John.
JOHN: Perché tu rifiuti la morte.
JUDY: È vero, non la capisco.
JOHN: Per me la morte è solo un momento poetico. Venticinque cicchetti di whisky uno in fila all’altro. Era seduto qui. Bum, bum, bum, bum, bum! È entrato in coma, l’hanno portato dall’altra parte della strada ed è morto. Il lenzuolo sulla testa, morto, se n’è andato, è morto. (beve) A Dylan Thomas, che visse e morì bene! (declama)
Gli unici mari che conosco
sono gli oceani infuriati:
lasciami naufragare tra le tue cosce. (beve)
O fratello Ernest Hemingway:
“Premi il grilletto: un colpo in bocca
il cervello contro il muro”.
JUDY: (entra in gioco, declama a sua volta)
O sorella Sylvia Plath:
“Accendi il gas: la testa nel forno
come un biscotto al cioccolato”.
Devono.
JOHN: Hai letto il giornale? Anche William Golden se n’è andato. Gli hanno trovato nel sangue un’altissima concentrazione alcolica.
JUDY: (ubriaca) Anche lui venticinque drink? Alla salute dell’affascinante Bill!
Brindano.
JOHN: Una sera siamo stati a cena insieme, a Hollywood. Era fantastico, ce l’aveva con tutti… (fa il verso a William Golden: voce bassa, catarrosa, impastata) “I giornalisti prima o poi ti beccano, John. Sono dei vampiri. E noi che facciamo? Ce ne stiamo a casa con l’aglio intorno al collo per proteggerci da loro… Siamo dei divi? Siamo un cazzo! Passiamo sullo schermo, tutto qui. La nostra è una condizione transitoria!” Proprio così ha detto: “Una condizione transitoria!” E poi: “Vedi John, io sono andato su, poi sono calato, poi sono tornato in auge, poi sono sceso di nuovo. Perciò, attento: sono delle sanguisughe. Se ti dicono che sei un genio, non ci credere. Al tuo primo errore diranno che sei un cesso. E se muori nel tuo letto, ti odieranno. Sai perché? Perché non fa notizia!”
Bevono.
JUDY: Non stiamo esagerando?
JOHN: Non fare sempre la mammina.
JUDY: Comunque, sempre meglio l’alcool della droga.
JOHN: Cazzate. Si muore di alcool come si muore di droga.
JUDY: Ma io non voglio morire! (pausa) Dobbiamo piantarla con la droga.
JOHN: La pianteremo. Basta solo volerlo.
JUDY: Ma tu lo vuoi davvero? Io avevo smesso; ho ricominciato per solidarietà. Giura che non ci facciamo più.
JOHN: Giuro. Bevi. (bevono) È uno strano lavoro, il nostro. I primi anni ti dai un sacco da fare, sgobbi come un disgraziato, fai a meno di tante cose, poi, di colpo, da un giorno all’altro, può capitare che diventi una star. Ce l’hai fatta, e da quel momento non ti fanno fare più niente, fanno tutto loro…
JUDY: E arrivano i dollari da tutte le parti! Viva “Animal House”, viva “The Blues Brothers”!
JOHN: Sì, viva, viva… però quelli scrivono che i tuoi film sono esempi di “basso umorismo ad alto livello” o “colossali stupidaggini comiche”.
JUDY: Ma che importanza ha?
JOHN: Certo, nessuna. Ormai sei nel giro grosso e devi reggere il ritmo e conosci un sacco di gente e vai da un party all’altro e chissà perché non ti accorgi che da qualche tempo sono sempre le tre del mattino…
JUDY: (sempre più ubriaca)… Eh già: hai tirato tardi con qualche attricetta che crede che un marxista sia uno che ha frequentato la Saint Mark School… o con qualche campione produttore… come quello dell’altra sera, a quell cocktail… C’era un tale che parlava della pittura di El Greco, lui lo interrompe e gli fa: “Senti, questo tuo greco, perché non me lo porti a cena, domenica sera?”
Ridono.
JOHN: Però che palle! Tutta questa gente, produttori, attrici, agenti, registi, discografici, dirigenti di TV, ti incasina il cervello e ti rende noioso il lavoro, così, per recuperare un po’ di stimoli che fai?
JUDY: Ti droghi…
JOHN: Non se ne esce, la droga è inevitabile, c’era prima e ci sarà dopo di noi…
JUDY: (piange) Oh John, John… mi si gelano le ossa per la paura….
JOHN: E poi c’è il Rock. Il Rock entra nella tua vita e la spalanca, perché il Rock è come un vento che porta la vita, ma il guaio è che porta anche la morte, sai cosa ho scoperto facendo tutte queste tournées con la nostra Band? Che i musicisti credono di essere vivi e invece sono già bell’e morti, è una condanna, non si scappa, pochi si salvano, d’altra parte l’unico modo per poter suonare e cantare otto, dieci ore a notte è quello di imbottirsi di pillole, te le portano i camerieri, bibite e anfetamine…
JUDY: (ubriaca ma logica) Ma tu non sei un musicista, tesoro, e non sei neanche un cantante, sei un attore…
JOHN: Perché, non ti piace come canto?
JUDY: (tenera) Lo adoro.
JOHN: Comunque così vanno le cose, e poi bisogna fare attenzione a non parlare tanto male della droga, pensa un po’ alla musica del nostro paese, che cosa sarebbe stata, senza gli allucinogeni? Cosa sarebbe stato il Rock’n Roll senza gli acidi? Le esperienze psichedeliche ci hanno fatto scoprire nuovi mondi interiori… in questi ultimi anni gli Stati Uniti sono cambiati perché… perché…
JUDY: Perché?
JOHN: Perché la droga ha aperto le coscienze e…
JUDY: Odio tutto quello che fa male, John! E la droga fa male a te, a me… e alla coscienza degli Stati Uniti. Uffa, portami a casa. Questi discorsi da ubriachi mi hanno fatto venire un gran sonno.
Escono barcollando. Si spengono dolcemente le note del blues.

IV – Il Manager
Dietro la scrivania è seduto Bernie Brillstein, il manager di John Beluschi. Bernie è grosso, imponente. Fuma sigari.

BERNIE: (al telefono) “L’elettricità che passa fra John Belushi e Blair Brown non basta ad accendere una lampadina”. Le altre critiche sono più o meno di questo tipo. Che te ne pare?... Già. Penso proprio che “Chiamami aquila” sarà un tonfo. (entra John, furioso. Bernie riattacca) Okay, okay. A più tardi.
JOHN: Hai letto le critiche?
BERNIE: Non le leggo mai. Non rientra nei miei piani di lavoro.
JOHN: Perché mi distruggono? Perché dicono che non sono né affascinante né sexy? Che in “Chiamami aquila” annaspo come un pesce fuor d’acqua? Perché ce l’hanno con me?
BERNIE: Nessuno ce l’ha con te, John. Sei il migliore comico americano che s’è visto in giro dopo Lou Costello.
JOHN: Lo dici tu perché sei mio amico.
BERNIE: Sono tuo amico ma sono anche tuo manager: e soprattutto sono un esperto.
JOHN: È stata tutta colpa di quella testa di cazzo di regista. John Avildsen è un cretino.
BERNIE: Un cretino non avrebbe potuto fare un film come “Rocky”.
JOHN: “Rocky” non è divertente. Su due cose non mi si può dire niente, sul genere comico e sulla musica. E Avildsen non sa una sega né di comicità né di musica.
BERNIE: D’accordo, ma tu sei bavissimo. Nessuno riesce a distruggerti. Se un comico fantastico, ti potrebbe dirigere mio figlio di dieci anni.
JOHN: Cinematograficamente ho meno di dieci anni. Per il prossimo film voglio un regista con le palle a stelle e strisce.
BERNIE: Ce l’hai.
JOHN: Chi è, come si chiama?
BERNIE: John Avildsen.
JOHN: Eh?!?
BERNIE: “I vicini di casa” è una storia perfetta per te e per Dan Aykroyd. Avildsen la dirigerà splendidamente.
JOHN: Bernie, sai che ti dico? Mai! Mai e poi mai!
BERNIE: Ci sono un milione e duecentocinquantamila dollari solo per te. Più una percentuale sul lordo, quando gli incassi avranno raggiunto i venticinque milioni di dollari. Che ne dici?
JOHN: Quando si firma?
BERNIE: Domani.
JOHN: Okay, Bernie. Ho letto il copione de “I vicini di casa”, non è malaccio. Ma è un film punk, non dimentichiamolo. Ci vuole una musica punk.
BERNIE: Temo che la musica la deciderà il regista.
JOHN: Avildsen? Ma se t’ho appena detto che non capisce un cazzo, di musica!
BERNIE: Sì, ma vedremo. Non è un grosso problema.
JOHN: Non credere di mettermelo nel culo, Bernie.
BERNIE: Sai bene che preferisco la fica.
JOHN: Sei un gran figlio di puttana!
BERNIE: Per quello che ne so, poteva anche essere una santa, mia madre.
JOHN: Io ti pago per essere il mio migliore amico!
BERNIE: I sentimenti non hanno prezzo, John.
JOHN: Tu lavori per me, perciò devi fare quello che ti dico io
BERNIE: Io lavoro per fare le cose per il meglio, non per mandare tutto in malora. Calmati, John.
JOHN: No che non mi calmo! Non puoi pretendere che faccia qualsiasi merdata solo per i dollari!
BERNIE: Conosci il vecchio motto dello “show business”? “Fai qualsiasi cosa e vedrai che qualcosa funzionerà”.
JOHN: È una sentenza che risale a quando il cinema si faceva nelle caverne! Io sono un comico moderno! Sono un comico imbranato, incasinato! Sono un fagotto di emozioni demenziali! Sono punk, Bernie! Sai che vuol dire essere punk?
BERNIE: Non lo so. Prima eri rock.
JOHN: Sono cambiato perché il mondo cambia! Io… voglio il successo, ma il successo mi fa schifo! Questo è punk!
BERNIE: Scusami, ma questa mi sembra una stronzata.
JOHN: No che non lo è! Si chiama contraddizione, e questo è il segno dei nostri tempi! Io solo così so lavorare, contraddicendomi continuamente. Per questo sono sempre su di giri, a tutto gas, al limite di tutto, sul filo del rasoio…
BERNIE: Non abusare, John. Usi il tuo corpo in un modo che ucciderebbe un toro.
JOHN: Che vuoi dire? Parla chiaro.
BERNIE: Ho l’impressione che hai cominciato a bucarti.
JOHN: Chi te l’ha detto?
BERNIE: So distinguere uno che si buca da uno che sniffa.
JOHN: Sono cazzi miei.
BERNIE: No, sono anche cazzi miei.
JOHN: Perché? Hai paura che l’investimento ti vada a male?
BERNIE: Io me ne frego dei soldi. Ti parlo come a un fratello.
(John si intenerisce).
JOHN: Bene, fratello. Dammi mille dollari.
BERNIE: No, John.
JOHN: Ma perché? Sono soldi miei! Li voglio!
BERNIE: So come li spenderai. Non se ne fa niente.
JOHN: Dammeli. Non farmi girare i coglioni!
BERNIE: No. hai speso settantacinquemila dollari, questo mese.
JOHN: Ho sputato sangue per farli. Dammi mille dollari! Contanti!
BERNIE: Non se ne parla.
JOHN: Guarda, Bernie. Se non me li dai, non sei più il mio manager. Ti licenzio! E ritiro tutti i miei soldi!
BERNIE: Padronissimo di farlo.
JOHN: Vaffanculo, Bernie!
Esce, disperato. Bernie riprende il telefono.
BERNIE: Scusami, prima non potevo parlare… C’era lui, Belushi… Dunque, per “Chiamami Aquila” bisogna applicare lo schema “Prendi i soldi e scappa”. Viste le critiche, non c’è altro da fare. Grande lancio pubblicitario e programmazioni a tappeto in 1400 cinema, per Natale. Arraffiamo tutto quello che si può durante le feste. Incasseremo almeno settemilioni di dollari il week-end di Natale, meno la settimana dopo, e la terza il film crollerà. Ma almeno in parte noi e la Colombia ci saremo rifatti. (pausa) Un momento. C’è un altro problema. John. È sballato. Bisognerebbe disintossicarlo ma lui non ne vuole sapere. Non dà retta neanche a Judy… Facciamogli fare più film che possiamo, un contratto via l’altro. Secondo me ha solo un anno o due di vita. Okay. Ci sentiamo. (riattacca)

V- Ludwing Van Beethoven

VOCE DI SPEAKER: “Saturday Night Live”, il vostro varietà del sabato sera seguito da più di venti milioni di spettatori! (musica da “Saturday Night Live”) È con noi per l’ultima volta in questa trasmissione lui, l’imitatore inimitato, l’inimitabile John Belushi!
Entra John. Porta un busto di Beethoven. Lo posa su un tavolo che funge da pianoforte. Siede allo sgabello. John ha una ampia parrucca bianca e l’espressione corrucciata di Beethoven.

Scena prima
Belushi/Beethoven suona alcune note stentate, da ricerca di armonizzazione, del celeberrimo “Chiaro di luna”. Entra un irreprensibile maggiordomo in marsina, è Dan Aykroyd.

DAN: Herr Beethoven, il pranzo è servito! (niente. Beethoven è sordo) Herr Beethoven, il pranzo è servitoooo! (niente. Rassegnato il cameriere esce. Appena uscito Dan, John si mette a suonare uno scatenato ragtime).

Scena Seconda
Belushi/Beethoven sta sempre cercando le note del “Chiaro di luna”. Rientra il cameriere.

DAN: La cena è servita, Herr Beethoven. (niente. Il maggiordomo si china all’orecchio di Beethoven. Urlando) La cena è servitaaaaa! (niente. Il maggiordomo esce. Appena uscito, Belushi/Beethoven si toglie la parrucca di Beethoven, si mette gli occhialini neri e imita Ray Charles: tiene la testa alta e oscilla il capo, come il jazz-composer di Atlanta. Canta “Georgia on my mind”).

Scena Terza
Belushi canta “Georgia on my mind”. Entra Dan: si è cambiato d’abito, indossa quello dei Blues Brothers, ovviamente porta gli occhiali neri. Funge ancora da maggiordomo, tant’è vero che porta un vassoio che contiene un vassoio con un panino con hamburger ed una Coca Cola. Belushi smette di cantare, mangia voracemente, in un solo boccone, il panino. Poi beve d’un fiato la Coca Cola. Soddisfatto, si unisce a Dan. Nuovo numero musicale: “Every body needs somebody to love”.

Fine della Prima Parte

SECONDA PARTE

I – La sceneggiatura
Sono in scena John e Jay Sandrich. Sandrich, glabro, senza occhiali, dolce, è il contrario esatto del regista della prima parte, John Landis. Per questo può essere interpretato dallo stesso attore.

JAY: Ascoltami, John. Tu sai com’è, nel nostro mondo. Se ne dicono tante di tutti… Così, anche su di te… ecco, scusami, sai, ma io non vorrei lavorare con uno che tira coca. La droga altera le percezioni e annulla il senso del tempo.
JOHN: Sono d’accordo con te, Jay. Ma stai tranquillo. Prima tiravo, è vero. La coca stava distruggendo la mia vita e il mio matrimonio. Ora, praticamente, ho smesso. La prendo solo quando la pressione si fa schiacciate.
JAY: Io sono un regista molto dalla parte degli attori. Mi piace lavorare con loro, non contro di loro.
JOHN: Sei il mio regista ideale.
JAY: Però tu dimmi: perché vuoi fare questo film? “Sweet Deception” non è un film alla Belushi.
JOHN: Sento il bisogno di cambiare. E poi si matura. Ho quasi 33 anni.
Entrano Bernie Brillstein e Michael Eisner, produttore della Paramount. Siedono.
BERNIE: Bene, amici. Entriamo subito in argomento. John ha letto la sceneggiatura di “Sweet Deception”.
JOHN: È vero.
BERNIE: Gli piace.
JOHN: Verissimo.
BERNIE: Però bisogna lavorarci sopra.
JOHN: Vangelo.
BERNIE: John ha dimostrato di essere un vero attore in “Chiamami aquila” e l’ha confermato ne “I vicini di casa”.
JOHN: Oddio, cosa c’è di più del Vangelo? L’antico Testamento?
Risate.
EISNER: Ho visto tutti e due i film, non erano male, per essere prodotti dalla Colombia. Ma noi della Paramount abbiamo bisogno di qualcosa di più forte.
JOHN: Io ho bisogno soltanto di essere John Belushi, è così che ho fatto i soldi che ho fatto.
Risate.
SANDRICH: Cosa volete dire quando dite che bisogna lavorarci sopra?
JOHN: Che la sceneggiatura non è abbastanza divertente. Io però ho qualche idea per renderla più spiritosa. Dunque, vediamo un po’ questa storia. C’è un giovanotto ingenuo e modesto che va ad una Gara di degustazione di vino californiano, esatto? (procede senza aspettare risposte) Poi si innamora, resta implicato in un traffico di diamanti, e alla fine trionfa: conquista vino, donna e diamanti. Insomma, si tratta della solita commediola romantica americana che richiede un protagonista bello, ironico ed elegante. Un Cary Grant, per fare une sempio. Ora, io non sono Cary Grant. Al più posso essere Lou Costello, il comico dei film di Gianni e Pinotto, esatto? (procede senza aspettare risposte) Con quaranta chili di meno potrei essere Woody Allen, ma con qualche difficoltà, esatto? (aspetta la risposta, questa volta. Che non arriva. Riprende) Perciò il film si apre con me che vengo riportato nella Distilleria di mio padre dalla Polizia, che mi ha trovato svenuto nel gabinetto della Stazione di Servizio della Shell.
SANDRICH: Questo non c’è nella sceneggiatura.
JOHN: Esatto. (risate) Ce lo metterà il mio sceneggiatore di fiducia, Don Novello. È un mio amico. Bravissimo.
SANDRICH: Non lo conosco.
BERNIE: Lo conosco io. È proprio in gamba.
JOHN: Torniamo al nostro protagonista. Abbiamo detto che è un degustatore di vini. Bene, sapete qual è il suo dramma? Che appena assaggia un goccio di vino si ubriaca. Tragico, no? Come, non so, un apicoltore allergico al miele. O un paracadutista che soffre di vertigini. (risate. John imita un ubriaco) Questo vino californiano di colore ambra/urina… hip!... è aromatico e leggero… hip!... Va tenuto nel comodino, in un apposito vaso… hip!... Si travasa in una bottiglia, si mette nel frigo dell’urologo, insieme agli altri contenitori… hip! Dopo qualche giorno è pronto alla beva… hip!
Risate.
BERNIE: John esagera un po’, è nel suo stile…
EISNER: Vai avanti, John.
BERNIE: Sì, sì, avanti.
JOHN: Siamo alla scena culminante del film: la Grande Gara di Degustazione. Qui ci vuole fantasia, eh, ragazzi? Grandi spazi, aperture, vetrate, cubature sterminate. Andrebbe bene il Salone a piano terra del World Trade Center di New York, una delle Torri Gemelle. Prima dell’apoteosi si potrebbe anche fare una bella carrellata retrospettiva su tutti i grandi ubriaconi di Hollywood, da Orson Welles a William Golden… oppure no. Quello che è sicuro è che la Gara degenera. Avete presente il grido di guerra di “Animal House”? FOOD FIGHTS, BATTAGLIA DEL CIBO! Sapete che dopo quel film i Presidi dei Collages americani hanno dovuto pubblicare degli Avvisi in cui si proibiva agli studenti di fare Battaglie del Cibo?
BERNIE: È vero. Fu un riflesso dell’enorme successo di “Animal House”, che fu al primo posto delle classifiche.
JOHN: (sale sul tavolo) Ci siamo? Nell’immenso salone del World Trade Center riecheggerà invece il mio grido: WINE FIGHTS, BATTAGLIA DEL VINO! Qui ci sarà una scena da Arca di Noè: i concorrenti si scateneranno, si getteranno bottiglie di vino, si vuoteranno addosso interi barili di vino californiano. Sarà una roba epica. Dopo un po’ nuoteranno nel rosé californiano, c’è chi affogherà, chi batterà il crowl, chi farà la rana… E io, come Tarzan mi slancerò nel vuoto attaccato a un lampadario.
(Esegue il volo, con un grande urlo alla Tarzan. Finisce per terra, tra le risate di tutti. Sandrich però è peplesso).
SANDRICH: Così però sarà una farsa, non sarà più una commedia romantica.
EISNER: Sarà un film alla Belushi. Piacerà ai ragazzi. I ragazzi sono il vero pubblico cinematografico americano. Guardate Steven Spielberg, lui è da un pezzo che l’ha capito.
SANDRICH: E Belushi sarà ancora una volta il Bluto di “Animal House”…
JOHN: Stai tranquillo, Jay. Non mi piace ripetermi. Sarò molto meno volgare. Non piscerò sui piedi dei miei avversari.
Risate. Escono tutti. Musica: un motivo dei Blues Brothers.

II – Speedball
Continua la musica da The Blues Brothers. Sono in scena Dan e John. John è in un angolo, affranto, sudato, distrutto.

DAN: John, che cazzo ci hai? Tocca a noi!
JOHN: Non ce la faccio, dan. Questa tournée mi sta distruggendo.
DAN: Palle. So io cosa ti sta distruggendo!
JOHN: Non è come la pensi tu.
DAN: Vuoi dirmi che non ti sei bucato di nuovo di ero?
JOHN: Ti dico di no! (pausa) È peggio. Mi sono fatta una speedball.
DAN: Una speedball?!?
JOHN: Una sensazione stupenda. La coca ti tira su e l’eroina ti rimanda giù. Sembra di stare su una bilancia.
DAN: John, lì fuori c’è gente che ha pagato, per vederci. Migliaia di ragazzi.
JOHN: E allora? È il successo, no? Che vogliono?
DAN: Te l’ho detto: vederci. Andiamo.
JOHN: Ma avere successo non vuol dire fare quello che cazzo ti pare?
DAN: No. Quello è il fallimento. I falliti fanno quello che vogliono, i vincitori fanno quello che vogliono gli altri.
Entrano in pedana. Musica al massimo. John e Dan si esibiscono in una energica versione di “I’m a soul man” ma John è in evidente difficoltà.

III – Noble Rot
Dan si strucca davanti allo specchio. John è al telefono.

JOHN: Come procede…? Lascialo dire, quello stronzo di Sandrich, hai capito, Don? Lui non conta una sega! Il film è nostro!... Lo so, lo so che ci stai lavorando solo tu, ma questa tournée di merda… Per fortuna è finita. Domani sono a Los Angeles. Hotel Chateau Marmont, Padiglione numero tre. Lavoreremo lì. La donna…? Lo so, lo so, ma non dico che bisogna tagliare la parte, dico solo che non me ne fotte una minchia che sia bellissima, come vuole Eisner. Io non voglio fare scene di sesso con questa bellissima, capito? Niente letto! Io sono un degustatore di vini californiani, non di fiche californiane! (aggancia, furioso) Cazzo cazzo cazzo! Quel maledetto “Malibu”.
DAN: Chi è “Malibu”?
JOHN: Ma come, non lo sai? È Jay Sandrich, il regista dei miei coglioni. Ha una villa sul mare, a Malibu.
DAN: Siamo sicuri che Sandrich sia il regista giusto per “Sweet Deception”?
JOHN: No. E intanto “Sweet Deception” non si chiama più “Sweet Deception”.
DAN: Noo?
JOHN: Noo! Ho cambiato nome al film. L’ho ribattezzato “Noble Rot”.
DAN: “Noble Rot”? Stai scherzando?
JOHN: Per niente.
DAN: E che cazzo vuol dire, “Noble Rot”?
JOHN: È un po’ difficile da spiegarsi.
DAN: Difficile da spiegarsi? Ma è un film o un trattato di Semantica Generale?
JOHN: No, è che… ho fatto ricerche sui vini. Ho scoperto che il vino migliore viene dall’uva che è stata attaccata da una specie di muffa, una sostanza putrefatta. È una “Noble Rot”, una nobile decomposizione.
DAN: (perplesso) “Noble Rot”.
JOHN: Non ti suona?
DAN: Cosa vuoi che suoni, una muffa? Al più, puzza.
JOHN: Stronzo. L’ho già detto a Bernie.
DAN: Ah. E lui?
JOHN: Ha detto che è un titolo orrendo.
DAN: Ecco.
JOHN: Ma è proprio questo, non capisci? Più loro trovano orrendo quello che voglio fare, più vuol dire che ho ragione io! Mi sono rotto le palle, non mi va più di sbagliare un film dietro l’altro!
DAN: Esagerato. Abbiamo fatto delle cose clamorose, insieme.
JOHN: Solo quando ci hanno permesso di essere noi stessi, Dan! Questa volta farò il film che mi piace fare! Basta! Non ci vado più, a scuola di “show business”! E questo piacerà al pubblico, e qui la critica ci becca, e qui ci rimettiamo le penne! Che cazzo ne sanno, loro? Chi ce le mette, le facce? Michael Eisner? Bernie Brillstein? O Malibu? No, ce le mettiamo noi, Cristo! Mica siamo degli attori scespiriani! Siamo gente che si vende la faccia! Ricordi quando facevamo “Saturday Night Show”? Era tutta farina nostra. Quella sì che era roba divertente. Quello sì che era un bel periodo. Dovevamo fare sempre la TV, ecco cosa dovevamo fare. Il cinema è merda. Dovremmo riprendere quello show.
DAN: Cazzate. Nessuno torna indietro.
JOHN: Se tutto il gruppo ritornasse insieme, io lo rifarei. Candice Bergen ci starebbe, e anche Elliot Gould.
DAN: Non sono d’accordo, John. E non ci credo a questa nostalgia. Quella è un’esperienza bell’e sepolta. Lo show ci ha preso molto. Una grande fetta delle nostre anime. Non c’è niente da recuperare. E poi io preferisco scrivere per il cinema. Sai cosa ho trovato nel bar che abbiamo comprato insieme, a New York? Ci sono tre frasi, nel cesso, scritte da mani diverse: “LA TELEVISIONE È UN PEZZO DI MOBILIO”. “LA SCENEGGIATURA CINEMATOGRAFICA È LA REGINA”. “IL ROCK’N ROLL È LA VITA” Beh, è la mia filosofia.
JOHN: Una filosofia da gabinetto.
DAN: Perché, cos’hai contro il gabinetto? Se non ci fossero i cessi la gente non scriverebbe più.
John ride. Anche Dan ride. Cantano “Theme from rawhide”. Alla fine si abbracciano.
JOHN: Sai perché non siamo diventati omosessuali, Dan?
DAN: Perché?
JOHN: Perché Dio ha creato solo due sessi.
DAN: E i froci, allora?
JOHN: Quelli sono venuti dopo. Ma il buon Dio ha creato Adamo ed Eva. Se ci avesse voluto fare omosessuali, avrebbe creato Adamo ed Ivo. (ridono come matti) Comunque condivido la tua filosofia. Ci aggiungo un bel buco di ero. Ci sta bene, nella toilette.
DAN: Lasciala perdere, l’eroina.
JOHN: Bucarsi è come baciare Dio.
DAN: Appunto. Ti porta vicino a lui.
JOHN: Oh, piantala di farmi la morale! Quando sarò morto starò sottoterra con la spada nella vene e nessuno mi romperà più le palle!
DAN: Io vorrei morire sulla mia moto, la Harley-Davidson. O su una “Hell’s Angels”. Sì, potrei davvero morire in moro.
JOHN: Ci credo. Comunque bisogna tenere un atteggiamento distaccato, verso la morte.
DAN: Trattarla con freddezza, insomma, prima che ci freddi.
JOHN: Bravo.
DAN: Mica vogliamo diventare dei quarantenni, no?
JOHN: Mai! (Dan mette una cassetta) Cazzo che bello, cos’è?
DAN: È una canzone degli anni Sessanta. “L’ape da una tonnellata”, dei “Ventures”.
JOHN: “L’ape da una tonnellata”! Ma è stupenda! Mi fa pensare ai nostri orribili sketches delle api, in tivvù!
DAN: Appunto! Quando ci mettevamo la calzamaglia nera, il pullover giallo a strisce nere…
JOHN: E le antenne in testa!
DAN: Il simbolo della nostra carriera di buffoni!
JOHN: La degradazione della nostra nobile professione.
DAN: Vuoi dire “nobile decomposizione”…
JOHN: “Noble Rot”!...
Ridono.
DAN: Promettimi una cosa, John. Se muoio prima di te, devi mettere questo nastro al mio funerale. (ride) Pensa un po’: questa musica in una chiesa piena di gente…
JOHN: Lo giuro. E tu farai lo stesso con me! Niente come “L’ape da una tonnellata” può annunciare la mia “Noble Rot”!

IV – Gli ultimi giorni d i John Belushi
I luoghi deputati della scena, il letto di John, la poltrona con il telefono di Judy, la scrivania di Bernie o di Eisner rimangono sempre in luce, in gradazioni diverse che si fanno più intense quando vi si svolge l’azione. Anche tutti i personaggi sono sempre in scena, in una specie di affannosa partita di ping-pong. La musica è ora affidata unicamente alle percussioni o al basso: un ritmo di 4 battute in lento e inesorabile crescendo.

16 Febbraio

JOHN: (sporco, trasandato, al telefono) Pronto. Sono John Belushi. Voglio parlare con Jack Nicholson. Ciao, Jack. Ho bisogno di un consiglio. Devo fare un contratto con la Paramount per un film… NOBLE ROT… Vorrei chiedere un milione e ottocentomila dollari, che te ne pare?
VOCE JACK: Potresti chiedere anche di più: senza di te non lo possono fare il film, no?
JOHN: Sì, ma non voglio calcare la mano.
VOCE JACK: Ok, però non fartelo mettere in culo, a meno che non ci provi gusto.
JOHN: Ti assicuro che non è di mio gusto.
VOCE JACK: Questione di gusti.
JOHN: Allora va bene un milione e ottocentomila?
VOCE JACK: Più la percentuale, ricordati. La percentuale dall’uscita del film, e non da un tetto sul lordo. Hai capito, testone di un albanese?
JOHN: Capito.
VOCE JACK: Che hai capito?
JOHN: Niente tetto sul lordo.
VOCE JACK: E perché?
JOHN: Perché… perché… che cazzo ne so, perché?
VOCE JACK: Perché lo mettono così alto, quel tetto, che non ci arrivi. Così non becchi neanche un “dime”.
JOHN: Ah, ora ci sono. Grazie, Jack. Vuol dire che la prossima volta, prima di firmare un contratto, vengo da te.
VOCE JACK: Bravo. E porta tua moglie, la trovo molto simpatica. Come sta?
JOHN: Bene. Odia Hollywood, così se ne rimane a New York. Ci frequentiamo poco. L’ultima volta che l’ho vista, volevo fare l’amore e sai che mi ha detto? “Arrangiati da solo” (risata di Nicholson) Ci ho provato, ma non ce l’ho fatta. Lascia che ti faccia una confidenza, Jack. Solo o in compagnia, non riesco più a farmelo rizzare. È grave?
VOCE JACK: (ridendo) Niente, non è niente. È normale. È l’effetto deprimente dell’eroina.
JOHN: Anche a te… succede?
VOCE JACK: Altro che, da un pezzo. Comunque sai che ti dico: meglio l’ero della fica.
JOHN: Sono d’accordo. Finché c’è droga c’è speranza.

17 Febbraio
(Entra Bernie).

JOHN: Ieri ho parlato con Jack Nicholson, lui prende il 10% in più su ogni biglietto venduto, mentre a me la percentuale la danno solo dopo che gli studios sono andati a pari. Che cazzo di manager sei?
BERNIE: Uno che ti fa fare un contratto da quasi due milioni di dollari. Non dar retta a quel pallone gonfiato di Nicholson.
JOHN: Guarda che se mi rompo i coglioni, telefono a Eisner e gli dico che ce la metta lui, nel film, la sua faccia da culo.
BERNIE: Ma quando crescerai, John? Questo film sarà la salvezza per te! Da quando sei qui a Hollywood spendi più di centomila dollari al mese. A proposito, hai bisogno di soldi?
JOHN: Dammi un migliaio di dollari.
BERNIE: Eccoteli. (glieli da) Perché non te ne torni a New York? Judy ti aspetta.
JOHN: Ce l’ha con me, quella stronza. Comunque non posso tornare a casa, prima devo finire la sceneggiatura.
BERNIE: Ma se non ci lavori mai! Ciondoli da un droga-party all’altro!
JOHN: Lavoro per telefono. Faccio lunghe chiacchierate con Don.
BERNIE: Magari standotene a letto a tirar coca con qualche anima persa. Mah, la vita è tua. Stammi su, stasera. C’è la firma definitiva del contratto con la Paramount. Si fidano anche se lo script non è ancora pronto.
JOHN: Presto sarà finito. Dì a quell’ebreaccio pidocchioso di Eisner che glielo porto io, di persona.
Bernie va a prendere la sua borsa, per uscire. Musica: un motivo inquietante. Entra April Milstead: bella, giovane, formosa. Ha un pacchetto, lo apre, ne fa vedere il contenuto a John, senza neanche degnare d’una occhiata Brillstein.
APRIL: Guarda che bella, John! Pura come l’acqua!
BERNIE: Chi è questa?
JOHN: È April Milstead, una mia cara amica. Abita qui all’Hotel.
BERNIE: (ad April) Spacci?
APRIL: Chi è questo stronzo, John? Diglielo che io non spaccio!
BERNIE: Piano, piano, bella. Non c’è mica bicarbonato, lì dentro.
JOHN: Spero proprio che sia cocaina, vero tesoro? Lui è Bernie Brillstein, il mio manager. Non farci caso, deve sempre ficcare il naso dappertutto.
APRIL: Lo metta qui, allora, e veda se non è roba buona.
BERNIE: Preferirei metterlo in un altro posto, tesoro.
APRIL: Ma si può sapere per chi cazzo m’ha preso questo elefante?
JOHN: April ha ragione, Bernie. Non si parla così alle signore.
BERNIE: È vero. In genere si dice: quanto?
APRIL: Ma vaffanculo, porco!
BERNIE: Senti il mio consiglio, John. Tornatene a New York. Qui è pieno di gente fasulla. (esce)
Squilla il telefono. John va a rispondere.
JOHN: Ciao, mamma. Sono John Belushi. (si accorge di aver detto una battuta involontaria, ride) No, no, sto benissimo… Va bene. Ti chiamo più tardi, eh, ma’? (riattacca. Si mette in vestaglia nera con la cintura di leopardo. Si pavoneggia). È un regalo di compleanno del mio caro amico Keith Richards, dei Rolling Stone. Ti piace?
APRIL: Chi: tu, la vestaglia, Keith Richards o i Rolling Stones?
JOHN: Fai un po’ tu.
APRIL: Adoro la cocaina. Dammi quattrocento dollari, cocco.
JOHN: Eccoli, eccoli, non aver paura, il Belushi è sempre pieno. (sniffano) Sono pazzo di te, April. Perché non pianti quel tuo amante inglese che ti mantiene e quel cantante canadese che mantieni e vieni via con me?
APRIL: Al cambio ci guadagnerei, non dico di no.
JOHN: Potremmo scrivere una canzone insieme.
APRIL: Titolo.
JOHN: (improvvisa) “Un giorno ho incontrato
una ragazza che si chiamava April”.
Mette in musica le parole, battendo le mani sul legno del comodino.
APRIL: Mi piace. E poi?
John prende la chitarra. Si accorda.
JOHN: “Ogni volta che la vedevo
mi portava la primavera”.
APRIL: Bravo! Però il simbolo della coca, nelle canzoni, è il fango.
JOHN: (sul ritmo che ha appena composto)
“Un giorno ho incontrato
una ragazza che si chiamava April
ogni volta che la vedevo
mi portava la primavera
il fango della primavera…”
Ridono. Telefono. John lascia la chitarra. Risponde. Luce più intensa in casa di Judy. Judy al telefono.
JUDY: Ciao, John.
JOHN: Ciao, Judy.
JUDY: Sei solo?
JOHN: No. C’è una mia cara amica, abita qui all’Hotel. Me l’ha presentata Robert De Niro.
JUDY: Allora è del giro della coca.
JOHN: Sì, più o meno.
JUDY: State scopando?
JOHN: Ma no. Stiamo solo scrivendo una canzone.
JUDY: Sei fatto?
JOHN: No. Solo un po’. Presto torno a New York. Appena ho finito la sceneggiatura di “Noble Rot”.
JUDY: D’accordo.
JOHN: Ciao, amore.
JUDY: Ciao.
John riattacca. Anche Judy nella sua stanza, che resta in penombra.
JOHN: Sai come morirò, April? In un incidente aereo molto spettacoloso. Sarò a bordo di un jet fiammeggiante che si abbatterà a terra e sprigionerà mille fuochi. Io sarò uno di quelli.
APRIL: Non ti fare illusioni, John. Morirai nel tuo letto, in sonno.
La luce si attenua.

19 Febbraio
Luce sul letto. John e April sono sotto le coperte. John si alza. Cerca qualcosa nell’indescrivibile disordine della stanza.

JOHN: Ma dove cazzo s’è cacciata…?
APRIL: Cosa cerchi?
JOHN: Una copia di quella merda di giornale, “Rolling Stones”.
APRIL: Quello per rockettari deficienti?
JOHN: M’hanno detto che c’è una lettera che parla di me… (ha trovato la rivista: era nel frigorifero. La sfoglia) Ah, eccola: (ridacchia) senti qui che roba: “Il vostro articolo su John Belushi era carino, niente di più, solo carino. È un discreto reportage, però mancava di carne. Sì, ci vuole più carne”.
APRIL: Deve essere il garzone di una macellaio.
JOHN: (continua) “La foto di copertina era splendida, ma la mia curiosità per il più grande eroe popolare americano non è stata saziata”. (ride) Metteteci più carne, stronzi! Più carne! Più carne! “Il più grande eroe popolare americano”. Come ti pare?
APRIL: Impegnativo. Vieni a letto, eroe. Vediamo se riesci a farti onore sul letto di battaglia.
John emette un grido, come il Bluto di “Animal House”.
JOHN: Sex Fights!
Fa una capriola alla Belushi e si getta sul letto. Buio sul letto. Va in luce la scrivania, dietro la quale è Michael Eisner. Accanto a lui, in poltrona, Bernie.

22 Febbraio
(Bernie legge il giornale. Eisner è al telefono)

EISNER: Conosco i miei polli. Prima dell’approvazione della sceneggiatura, non gli do neanche un cent… (ridacchia, soddisfatto) Figurati se mi faccio fregare da un oriundo albanese…
Riattacca. Entra a valanga Belushi: sporco, camicia fuori dai pantaloni, stravolto dalla droga.
JOHN: Ecco la sceneggiatura. Guardate che eleganza: marocchino rosso Bordeaux e scritte in oro. E qui ci sono le carte geografiche della California con l’indicazione dei vini. Eh? Che roba, eh? Ci ho lavorato da matto con Don Novello, ci siamo fatti un culo così, conosco tutti i vigneti della zona, ho dovuto assaggiare centinaia di vini, è venuta fuori una roba forte, sarà un film bellissimo, forse troppo bello per Mister Malibu… Quello stronzo di Sandrich si fa vedere in giro con una mignottona alta così, ma cosa crede, che solo lui è capace di scoparsi delle belle gnocche…?
BERNIE: (dolcemente) È sua moglie, John.
JOHN: (inarrestabile) Ah sì, è sua moglie? Beh, peggio per lui, io l’ho vista, quella, e sapete dove? Su una rivista pornografica, stava succhiando il cazzo a un asino…! No, credetemi, bisogna cambiare regista, potrebbe girarlo Dan, o forse io, perché no? Potremmo cominciare le riprese al più presto, la prossima settimana, tanto i sopralluoghi li ho già fatti io, non vedo l’ora, ragazzi, questa sceneggiatura è una bomba, ci sono lì dentro battute bellissime, c’è quella sulla Bibbia, per esempio: “nella Bibbia sono citate solo tre bevande, acqua, latte e vino”… Il vino è roba biblica, non è fantastico? (ride come un matto, da solo. Riattacca senza riprendere fiato) E poi c’è quell’altra che è la fine del mondo, quando Christine chiede a Johnny cosa pensa di un vino che hanno appena degustato e lui schiocca le labbra e dice, con competenza: “è buono. Pulito. Sa di Ajax”. (ride rumorosamente. Eisner e Bernie lo guardano, sbigottiti) Bene, bisogna che vada. Ho qualche spesetta da fare. (cerca di uscire. Inciampa. Sbaglia uscita. Ce la fa a venire fuori)
EISNER: Ma… è da ricovero, ormai!
BERNIE: Non ti preoccupare. Hai assistito al famoso “Sballo Belushi” (prende una copia della sceneggiatura. Esce)
Eisner apre un’altra copia di “Noble Rot”. Comincia a leggere. Buio. Luce su Bernie.

23 Febbraio
Telefono da Bernie. Bernie risponde. Luce di nuovo sulla scrivania di Eisner.

EISNER: (lugubre) Sono a pagina quaranta. Fino ad ora non ho riso neanche una volta.
BERNIE: Vai avanti. Ma non riderai neanche dopo.

24 Febbraio
Riunione da Eisner. Sono presenti Sandrich, Eisner, Bernie.

EISNER: È una bufala spaventosa.
BERNIE: È un bel guaio.
EISNER: Nessuno vorrà starci, in un film così.
SANDRICH: Io no di certo. E nessuno ci metterà un dollaro…
EISNER: Siamo nella merda.
SANDRICH: A cominciare da quel titolo assurdo, è tutto sbagliato.
BERNIE: Non è solo questione di titolo.
EISNER: È vero. Non c’è un solo personaggio a cui il pubblico possa affezionarsi.
SANDRICH: Anche Don Novello si fa di coca? Questa roba sembra scritta fra uno sballo e l’altro.
BERNIE: Tutti gli amici di John si fammo. Anche i suoi nemici, d’altra parte. E gli indifferenti.
EISNER: Non sono riuscito a trovare niente di divertente. In tutto il film non si fa che parlare degli amici di John: di Keith Richards, di quello delle conigliette Playboy, lì, come si chiama…
BERNIE: Hugh Hefner.
EISNER: E di Robert De Niro. Poi ci sono lunghe dissertazioni sulla morte. È incredibile.
SANDRICH: Non esistono più né commedia, né romance, né avventura. Nel mio film, in “Sweet Deception”, voglio dire, il protagonista nascondeva i diamanti in una bottiglia. E nel trionfale brindisi finale li versava all’amica dentro una coppa di champagne. Era una trovata, no?
BERNIE: È inutile recriminare. Devo parlare con John.
Buio sulla zona scrivania di Eisner.

25 Febbraio
A casa di John. Disordine spaventoso. Bernie fuma il sigaro.

BERNIE: Non è piaciuta, John.
JOHN: Conosco quel personaggio, Bernie. Fidati. Lo farò funzionare. Vedrai. Lo aggiusterò.
BERNIE: C’è poco da aggiustare. Sono tutti con le mani nei capelli.
JOHN: Che vadano a farsi dare in culo. L’umorismo del film non sta nelle battute, ma nei personaggi. Forse nella sceneggiatura non si vede. Ci sono cose scritte che non fanno necessariamente ridere. Ma dipende dalla situazione e da come si dicono. Vedrai che con qualche ritocco… Non è né la prima né l’ultima volta che una sceneggiatura si riscrive, si modifica…
BERNIE: Non siamo a questo punto, John. Non l’hai ancora capito? (si alza, si congeda) La Paramount non lo fa, un film così. (esce)
John va a mettere un disco di musica punk, che resta in sottofondo. Entra April.
JOHN: Ciao fatina. Cosa hai portato al tuo pinocchietto?
APRIL: (butta un pacchetto sul tavolo) Seicento testoni, bello. Che musica è?
JOHN: È punk. Vedi, April, la musica punk esige una risposta. È questa la nuova musica, non puoi ascoltarla passivamente. Il pubblico deve rispondere: con la slam dance, urlando, facendo qualcosa. Io l’avrei messa nel film, questa roba, ma quegli stronzi della Paramount non me lo fanno fare.
APRIL: Perché, John?
JOHN: Non lo so.
Si fanno di coca.
APRIL: Un motivo ci deve essere. Tu sei una star. Si fanno soldi, con te. Non possono rifiutarti una cosa, senza ragione.
JOHN: La sceneggiatura che abbiamo fatto io e Novello parla di me, dei miei problemi. Ho voluto drammatizzare i miei istinti più ribelli, mi spiego?
APRIL: No. Fammi degli esempi.
JOHN: Ci ho messo tutto. La mia fama di rompicoglioni. La droga. La musica dei Blues Brothers. La musica. Ho voluto trasferire sullo schermo tutto quello che mi vive dentro. E loro, rifiutando la sceneggiatura, è me che rifiutano. È questo che mi ferisce a morte.
APRIL: Cazzate, è solo una sceneggiatura. La butti troppo sul personale. Sei nello “Show business”: nel giro grosso, quello dei soldi veri. E ti comporti come un bambino, Mister Nessun Compromesso. Prenditi una vacanza, una pausa, smettila di agitarti, di correre.
JOHN: Vieni con me?
APRIL: No, ho già due uomini che mi danno abbastanza guai, giuro che non ho bisogno di incasinarmi di più. E tu, sei un casino ambulante. (esce)
John si mette a dare pugni in aria, come se ci fosse un invisibile punch-ball davanti a sé. Poi scaraventa qualcosa per terra ed esce, incazzatissimo. Buio sul letto, in luce la scrivania di Eisner. Continuano, ossessive, le percussioni.

1 Marzo
Da Eisner. È Entrato John.

EISNER: Ascoltami, John. Non possiamo perdere questa occasione di lavorare insieme. “Noble Rot” non va, non c’è niente da fare. Sono d’accordo con Bernie Brillstein.
JOHN: Lo licenzierò.
EISNER: Sciocchezze, non si licenzia un’amicizia come la vostra, lavorate insieme da dieci anni. Ti dicevo, il nostro accordo è “pay or play”, no? Bene, la Paramount vuole spostare il progetto che ha su di te su un altro film. “La gioia del sesso”, sottotitolo: “Una sporca storia d’amore”. Che ne dici?
JOHN: Che mi sembra una sporca storia di soldi.
EISNER: Carina la battuta, ma si tratta di un milione e ottocentocinquantamila dollari, pulitissimi. Andiamo, John, non fare lo scemo, è una storia stupenda, proprio quello che ci vuole per te. Sesso, Belushi, divertimento. Il tema è l’iniziazione sessuale di un bambino, di un ragazzo e di un uomo, e tu fai tutti e tre gli iniziandi, anche il bambino. Può essere un film divertente e profondo nello stesso tempo. Puoi interpretare tutti gli stadi della vita del protagonista, tutti i riti e i passaggi sessuali, il bambino con il pannolino che azzanna le tette della cameriera, il ragazzino di sei anni che gioca al dottore con le ragazzine, lo studente sporcaccione, il vecchietto arzillo… Questa è la sceneggiatura. Leggila, modificala, adattatela. Falla funzionare. Può essere qualcosa di molto, molto meglio di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso” di Woody Allen.
John prende la sceneggiatura, esce.

2 Marzo
Casa di John. C’è April.

JOHN: April, voglio farmi di ero. Sai dove trovarne? Me ne basta un poco, un decigrammo.
APRIL: Un decigrammo fa sessanta dollari, John.
JOHN: Eccoti trecento dollari. Prendi tutta quella che riesci a scovare.
APRIL: E per me?
JOHN: Ce ne sarà anche per te.
APRIL: Sai bene che non mi piace l’eroina.
JOHN: Che problema c’è? Comprati la coca! Avanti, che cazzo aspetti?
APRIL: Piano, piano. Mica sono la tua “pusher” privata. Qualcosa che non va?
JOHN: Il mio film è morto e sepolto. Vogliono farmi fare una schifezza che si chiama “Le gioie del sesso” (April ride) Che ci trovi di così divertente?
APRIL: Sono anni che sento parlare di questa sceneggiatura. Gira qui a Hollywood da uno studio all’altro e nessuno vuole farla.
JOHN: E ora l’hanno rifilata a me. Nel tombino Belushi. Ma col cazzo che mi incastrano, stavolta. A costo di perdere un milione e ottocentocinquantamila dollari.
APRIL: Un milione e ottocentocinquantamila dollari? C’è da farsi di coca per tutta la vita, pensaci, John. Tesoro: sei un vero tesoro, Cristo, un milione e ottocentocinquantamila dollari…
JOHN: Vai, e non farti fregare. Non fartela tagliare, mi raccomando. Voglio roba pura.
APRIL: Pura e verginale come me, ciao, scrigno delle mie gioie. (esce)
John mette un disco dei “Blues Brothers”. Si aggira per la stanza, accennando a passi di danza. Poi va al telefono.
JOHN: Pronto…! Pronto, Judy… Cazzo, quanto odio queste segreterie telefoniche, mi viene voglia di sputarci, invece di parlare… Judy, amore. Mi manchi. Ti amo. Chiamami appena sentirai questo messaggio.
Suonano alla porta. John va ad aprire. Rientra seguito da Sandrich e da Eisner.
EISNER: Ciao, John, siamo passati a salutarti. Domani partiamo per New York. Volevano sapere se… hai letto la sceneggiatura della “Gioia del sesso”.
JOHN: Sì, sì, l’ho letta. Avete fatto bene a venire, tra un istante c’è un “reply” di “Saturday Night Live” in TV, dovete assolutamente vederlo, è una puntata straordinaria.
SANDRICH: (si guarda intorno, schifato) Veramente abbiamo un po’ di fretta, eh, Michael?
JOHN: (ha colto il suo sguardo) È un po’ zozzo, vero? (declama)
La mia casa puzza come uno zoo
è piena di piscia e di vomito
scarafaggi sui muri
e i pidocchi sulla palle
Mi piace vivere in città
è piena di rifiuti
e l’aria sa di merda…
(ride) È una bella poesia, vero? Non so più di chi è… Ecco, la sigla!
La sigla della trasmissione in TV. Il televisore è con il dorso al pubblico.
VOCE ANNUNCIATRICE: Ed ecco a voi il commentatore politico di “Weekend Update”, John Belushi. Applausi.
VOCE JOHN: Salve, ragazzi. Dunque martedì noi, bravi americani, andiamo a votare. Basta avere 18 anni e si può esercitare questo diritto di voto. (Belushi si arrabbia. Si interpone al televisore. Recita dal vivo) Io, quando avevo diciotto anni, col cazzo che mi facevano votare! Non potevo neanche guidare l’automobile! Infatti a sedici anni avevo già la patente, ma a diciotto me l’hanno ritirata perché avevo preso troppe multe per ubriachezza continuata e pericolosa! (spegne il televisore) Anni fa ho incontrato Steve, un mio amico, s’era sotto le elezioni, e gli ho chiesto: “Tu per chi voti, Steve? Per Ford o per Carter?”. E lui: “Per nessuno, i politici sono tutti uguali”. Io allora gli dico: “Steve! Ma chi credi che le faccia, le leggi? I politici, nooo?” E lui: “Non cambia niente, non c’è differenza”. E io: “Come, non c’è differenza! Lo sai che adesso, se ti beccano con trenta grammi, è un reato?” (Eisner e Sandrich non ridono) E nel 1965 era ancora peggio. Bastava che ti trovassero con un po’ di erba perché ti mettessero sotto torchio. Sai che c’è ancora gente in galera, nel Texas, a mangiare topi, solo perché è stata sorpresa con un semino di marijuana? In Europa, ad Amsterdam, tutti votano. E tutti fumano hashish per la strada. Non ditemi che non c’è differenza. Ma perché sto qui a sprecare il mio tempo prezioso per dirvi queste cose? Potrei starmene per la strada a fumare hashish, e invece noooo! Devo stare qui a spiegare a voi, massa di deficienti, (appoggia maliziosamente contro Eisner e Sandrich) come stanno realmente le cose, perché il pubblico deve essere informato, perché il pubblico informato è l’unica speranza – l’unica speranza che abbiamo di poter fumare hashish per la strada… Ci sono paesi dove l’hashish è assolutamente vietato. In Mongolia, per esempio. Sfido: è pessimo! Sapete leggere il mongolo? Io no. Neanche i mongoli lo sanno leggere. Avete mai fumato hashish mongolo? Provateci: il cuore comincia a battere così forte che sembra di morire! Altro che canna! Ti scanna, quell’hashish lì! Invece qual è l’aspirazione massima dell’americano medio? Un minimo di quantità, ma pura! Puraaaa! (preso dall’impeto oratorio, picchia i pugni sul tavolo, poi comincia a rantolare. Si porta una mano al cuore e cade a terra stecchito. Applauso registrato, subito troncato. Silenzio. Belushi è ancora a terra. Eisner e Sandrich sono stupefatti. Non sanno che pensare. Sta male o finge? Lunga pausa. Poi Belushi si alza e va in bagno).
SANDRICH: Andiamo, Michael. Mi sembra di avere appena visto il “Viale del tramonto”, con Gloria Swanson.
EISNER: Stronzate, Gloria Swanson era alla fine della carriera, quando fece quel film, mentre John è praticamente agli inizi.
SANDRICH: Non ho mai assistito a niente di più triste. Credimi, era proprio “Viale del tramonto”.
EISNER: Forse hai ragione. È proprio andato. Sarà meglio mollarlo.
Escono. Quando John rientra non c’è più nessuno. John ha una crisi di nervi. Spacca il televisore. Canta “Guilty”, poi esce.

4 Marzo
Buio nella zona Belushi, vuota. Luce sulle zone Judy e Bernie.

BERNIE: Judy, scusami se ti sveglio…
JUDY: È presto, Bernie. Sono le nove…
BERNIE: Lo so, ma qui a Los Angeles sono le sei. È una cosa maledettamente urgente.
JUDY: John!!! Cosa gli è successo?
BERNIE: È scomparso da due giorni. Nessuno riesce più a trovarlo, tu hai notizie, per caso?
JUDY: No. Quel disgraziato sa che sono a letto con l’influenza e non si fa vivo.
BERNIE: Sono stato all’Hotel, sono entrato in casa sua, nessuno l’ha più visto. Volatilizzato.
JUDY: Sarà fatto fino alle orecchie, chiuso in casa di qualcuno. Finirà per ammazzarsi.
BERNIE: Se non si ammazza lo ammazzo io! Mi fa andare a monte un affare da due milioni di dollari!
JUDY: Vaffanculo, tu e i tuoi milioni! Io è a John che penso! (riattacca. Telefona all’Hotel di John) Pronto. Hotel Chateau Marmont? È tornato John Belushi…? No? Grazie. (riattacca. Forma un nuovo numero) Dan…? Sei tu, Dan…? Ciao, sono Judy. John. Non si trova: da due giorni, deve essere successo qualcosa... Vieni subito! (riattacca. È agitata. Si veste nervosamente. Telefona) Pronto… vorrei parlare con Don Novello… Ah. Non c’è. Dove è andato?... In Italia? Ho capito. (riattacca. Ritelefona) pronto… Chateau Marmont? Sono ancora Judy Belushi. Può dirmi se la signorina April Milstead è in albergo?... Grazie… (aspetta nervosamente) Sì, ci sono… Ah, gioca al tennis. Con chi?... Con suo marito… Ah, ecco. Grazie. Per favore, appena torna John Belushi mi fa chiamare, subito! È urgente! (riattacca. Suonano alla porta. Va ad aprire. È Dan Aykroyd)
DAN: Non ti preoccupare, conosco questa fase. Quando sparisce così vuol dire che è sotto effetto in qualche posto.
JUDY: L’ho pensato anch’io. (pausa) Ma dove può essersi cacciato?
DAN: Ho telefonato a Hollywood. M’hanno detto che è andato a Los Angeles con Robert De Niro.
JUDY: È sicuro.
DAN: Così, così. Era un’ipotesi. Se è vera, c’è da stare più tranquilli. Bob ci va piano, con la roba.
JUDY: Questa volta devo adottare la linea dura. Se John non ritorna a New York, me ne vado per sempre. Non mi trova più.
DAN: Mi sento in colpa. Sono il suo migliore amico e me ne sto qui a scrivere sceneggiature invece di montare su un aereo e riportarlo qui, magari ammanettato.
JUDY: Che c’entra. È un impegno professionale. E poi, “Ghostbusters” ti diverte.
DAN: Sì, vedi, Judy, questi tre acchiappafantasmi sono dei tipi simpatici, spero che piacciano anche a John, e poi c’è che non usano nessuna stregoneria… ma pensiamo a John.
JUDY: Dovremmo convincerlo a mettersi in analisi.
DAN: Non lo farà mai.
JUDY: Allora lo obbligheremo. Anch’io devo proteggermi e avere cura di me. Vivo con John da dodici anni, non è facile.
DAN: Ti capisco. Anch’io, in tutti questi anni di amicizia e di collaborazione, mi sono sentito di volta in molta moglie, supervisore, donna delle pulizie, inserviente, dattilografo e segretaria… Come socio di John ho avuto i tuoi stessi problemi…
Telefono. Judy afferra al volo il ricevitore. Luce sulla zona John. John è appena entrato, è sconvolto e sporco più del solito.
JOHN: Judy. Sono John Belushi.
JUDY: Non mi fai ridere, delinquente. Dove cazzo sei stato?
JOHN: Qua e là, ma solo per lavoro. Non ti preoccupare, amore. Ho deciso che non farò più “Noble Rot” e accetterò una cagata di film che si chiama “La gioia del sesso”. Dopo, però, farò un film con quel regista francese che è il marito di Candice Bergen… Louis Malle. La sceneggiatura è bellissima. Ciao, amore, ora devo andare.
JUDY: Un momento! Quando torni a New York?
JOHN: Domani. O dopodomani al massimo. Ora devo…
JUDY: Aspetta! C’è qui Dan. Vuole salutarti. (passa il telefono a Dan)
DAN: Ciao, John. Finalmente sei venuto fuori.
JOHN: Com’è che tu puoi sparire in Canada per una fottutissima settimana e nessuno se ne accorge? Perché a me fanno tutte queste storie? Dov’eri, tu, ieri?
DAN: Ero qui a New York a scrivere la sceneggiatura di “Ghostbusters” per noi due, ecco dov’ero.
JOHN: E adesso? Vuoi farmi sentire in colpa?
DAN: Ma neanche un po’! Stammi a sentire, John. Un capitano della Marina ci ha offerto una crociera che parte da San Diego la prossima settimana.
JOHN: Dan, a me le crociere mi fanno cagare ritto.
DAN: Anche a me, ma non è per diporto. È per disintossicarci. Aria buona e sole, nient’altro. Solo così potremo ricominciare a fare mille progetti. Dai, su. Per piacere.
JOHN: No!
DAN: Ma perché?
JOHN: Soffro il mal di mare.
DAN: Prenderai qualche pillola.
JOHN: Eh già, così si ricomincia. No!
DAN: Devi venire su quella nave. Saremo io, tu e Judy!
JOHN: No! Ma chi cazzo credi di essere? Tu scompari, nessuno ti dice niente, tu puoi andare dove cazzinculo ti pare! Ma perché mi rompi sempre i coglioni?
Riaggancia. Buio su Judy e su Dan, che scompaiono. Ora è rimasta in luce solo la zona Belushi.

5 Marzo
John, solo. È sofferente. Entra April.

APRIL: Eccolo tornato, l’uccellin di bosco. Dove t’eri straficcato?
JOHN: In un bel buco.
APRIL: Con chi?
JOHN: Con Cathy Smith.
APRIL: Quella troia! Quella spacciatrice di eroina!
JOHN: Non metterti a farmi la morale anche tu, adesso. Ho voluto solo fare un esperimento.
APRIL: Quale esperimento?
JOHN: Ecco, siamo stati a trovare un mio amico, uno sceneggiatore. Tino Insana. Tino ed io abbiamo un progetto per un film. È la storia di uno yuppi, un Dirigente d’una Azienda di Public Relations di 33 anni, come me – che si chiama Steve. Questo Steve va ad una festa a New York dove conosce una donna, Cheri, e un musicista di Rock/Punk, Johnny Chrome. Alla fine Steve lascia l’ufficio, si fa, diventa punk e si tinge i capelli d’azzurro. Ti piace?
APRIL: Dipende dalla sfumatura.
JOHN: Dai, non fare la scema, non ho voglia di scherzare.
APRIL: Non ho capito in cosa consista l’esperimento.
JOHN: È vero, scusa… sono stanco, sono tre giorni che non dormo. Dunque, quando Steve si lascia convincere da Johnny Chrome a bucarsi… io voglio rendere la cosa più credibile. Voglio bucarmi realmente davanti alla macchina da presa!
APRIL: Ma è un’idea balorda!
JOHN: Per niente. Ne ho parlato con Robert De Niro, sai, lui fa sempre così, deve conoscere il personaggio fisicamente e emozionalmente, prima di interpretarlo.
APRIL: Sappiamo, sappiamo, lo conosco bene. E lui?
JOHN: Era d’accordo.
APRIL: Se Bob è d’accordo vuol dire che è più stronzo di quanto pensassi. Non ti rendi conto che è pericoloso?
JOHN: Ma no! Ci sarà un dottore, un vero dottore, a controllarmi. (barcolla. Si preme lo stomaco)
APRIL: Che ci hai? Non stai bene?
JOHN: Non so.
APRIL: Ti sei fatto anche stamattina?
JOHN: È venuta Cathy, solo un piccolo buco.
APRIL: Hai voglia di vomitare?
JOHN: Sì. Come lo sai?
APRIL: Vai al cesso, liberati. Ti fa bene. Poi fatti il bagno. (April resta sola. È nervosa, non sa che fare. Cerca tra le cassette. Ne trova una che non conosce. È “L’ape da una tonnellata”. La mette nel mangianastri. La musica rimane in sottofondo tenuissimo, pressoché impercettibile, sino alla fine. Rientra John, in accappatoio).
JOHN: Ho freddo.
APRIL: Mettiti a letto.
(John esegue).
JOHN: Puoi procurarmi un po’ di coca?
APRIL: Okay. Dammi cento dollari.
JOHN: Sono lì. Ho freddo.
APRIL: Mettiti sotto le coperte. Ti alzo il riscaldamento. (gli rimbocca le coperte, poi prende i cento dollari ed alza il termostato. Esce. John è sotto le coperte, fin sopra ai capelli. Luce in resistenza, fin quasi al buio. Poi, effetto luce giorno. Squilla il telefono. John non risponde. Dopo qualche tempo entra Bernie. Va da John).
BERNIE: Svegliati, John! È mezzogiorno! Ti ho portato il contratto per “La gioia del sesso”! John! John! (lo scuote. John è immobile. Bernie lo scopre. John è sereno, ma la lingua gli sporge da un lato. Bernie, sconvolto, infila le dita tremanti nella bocca di John e ne tira fuori un liquido nerastro. Poi gli appoggia le labbra sulle labbra e gli fa la respirazione bocca a bocca. Niente. Gli muove il corpo. Niente. Bernie emette un gemito sordo) Ma che fai, John? Non ti muovi? Stai scherzando? (lo scuote ancora. John è immobile) Andiamo, smettila con questa scena del cazzo! Svegliati! (disperato, lo scuote di nuovo) John! John! (John è immobile. Bernie gli prende il polso, gli ausculta il cuore. Impreca a bassa voce) È andato… andato… (telefona) pronto… centralino… Qui è il bungalow numero tre. Un medico, presto! Sono qui da John Belushi… Ho bisogno di un medico, subito… John non respira… Deve essere morto… (riattacca e scoppia a piangere. Guarda Belushi) Brutto figlio di puttana! Brutto figlio di puttana! (piange, ma non si sa se piange per affetto o perché si vede sfumare contratti per milioni di dollari. Musica: L’ape da una tonnellata. Il motivo ora sovrasta il battito affannoso delle percussioni. Buio).

FINE

 
 

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