--> home --> pubblicazioni
_Teatro politico e civile BE@A enricobernardentertainementart

_Una parabola lunga quarantacinque anni

La spropositata lunghezza dei mio curriculum bio-bibliograftco, pubblicato alla fine del libro, mi consiglierebbe la stringatezza, almeno nella presentazione di questo mio "Teatro politico e civile." Avrei preferito che fosse stato un altro a farla, qualche critico-saggista in grado di esplorare la mia forsennata produzione quarantacinquennale ci sarebbe, ma forse saremmo andati troppo lontano. E poi, in fondo. ritengo fermamente di essere la persona più indicata per dare informazioni intorno al mio mestiere di scrittore di teatro.
Ho perso il conto di tutte le cose che ho scritto, trascritto, riscritto, ideato, tradotto, adattato, contaminato, ridotto, trasposto. reinterpretato. Per lunghissime stagioni ho sempre "lavorato teatro", tranne alcune evasioni cinematografiche, sinfonicomelologiche, televisive, operistiche ( sto terminando il libretto del mio "Processo di Giordano Bruno ")e radiofoniche. Nei miei lunghi soggiorni all'estero, soprattutto in Svezia, negli Stati Uniti e in Francia, non mi sono concesse molte pause teatrali: perfino a Stoccolma, all'inizio della mia attività, ho approfittato dei mio "status" di insegnante di italiano nella locale università per fondare e dirigere una Compagnia universitaria italo-svedese che metteva in scena, in italiano, anche se con indimenticabili accenti gutturali e cadenzati lontanissimi dalla nostra lingua, autori italiani contemporanei. E di teatro italiano d'oggi mi sono occupato negli Stati Uniti, sia in un importante teatro off che programmavo, lo storico "Provincetown Playhouse "di Washington Square, - diretto negli anni 20 da Eugene O'Neill, che vi rappresentò la "prima" del suo "Imperatore Jones"- sia in altri spazi, tra cui il "Café La Mama" di Ellen Stewart. In questi teatri e teatrini di New York ho organizzato e diretto ben sette edizioni del "Festival of Italian Theatre Today ", facendo conoscere ai "Theatre going" americani, in inglese e con attori americani e italo-americani, una vera rarità, la Drammaturgia Italiana Contemporanea. Parallelamente, nelle tre edizioni dei "Festival du "théâtre Italien d'aujourd'hui", che ho diretto a Parigi con Ghigo de Chiara, ho favorito la conoscenza del repertorio italiano contemporaneo attraverso un gran numero di rappresentazioni, letture, mises en espace. Chiariamo qui che racconto questi episodi del nostro teatro oltre i confini non perché voglia vantare benemerenze sul campo, o mi aspetti medaglie. Voglio semplicemente ricordare a chi mi legge, e a me stesso, che in tutti questi anni non mi sono mai fermato, dovunque mi trovassi. Il teatro è un pozzo di energia allo stato puro ed è da quel fondo che ho attinto la volontà e il desiderio di 'fare". "Teatrante organico", come amo definirmi, sono tuttavia nato al teatro per caso. Un caso voluto da altri, come si vedrà. Una mia prima sciagurata serata teatrale - davano "Johan Gabriel Borkman", di lbsen - mi colse alla sprovvista. Avevo dodici anni, ero innocente, vergine di spettacoli teatrali. Ne riportai uno shock che mi tenne lontano dalle patrie scene per dieci anni.
Una seconda esperienza infelice - una mia collega di università si era data la missione di farmi amare il teatro portandomi quasi a forza al Quirino. a Roma, dove si rappresentava un "Amleto di Gassman ", così da locandina - mi allontanò definitivamente dal teatro. Almeno così pensavo. Qualche anno dopo entrò in scena il caso. Seguivo periodicamente dei seminari di francese, alla Sorbona di Parigi, quando una mia collega americana, vincendo la mia legittima diffidenza. mi trascinò alla "Huchette", una sala sgangherata di un'ottantina di posti, in pieno Quartiere Latino. Lo spettacolo consisteva in due atti unici di lonesco, "La cantatrice chauve" e "La leçon". Come a dire il must del Teatro dell'Assurdo. Fui fulminato, come San Paolo sulla strada di Damasco. Dunque era quello il teatro.
Tornato a Roma scrissi di getto un atto unico "à la mode de", senza avere la più pallida idea di quello che ne avrei fatto. All'epoca - eravamo nel '60 - abitavo in Via Carini 43, a Monteverde Vecchio. Scoprii ben presto che al secondo o al terzo piano Attilio Bertolucci, il noto poeta, occupava un appartamento con la famiglia. Di tanto in tanto incontravo Bernardo e Giuseppe, allora in calzoni corti. Più spesso mi imbattevo in Pier Paolo Pasolini, che viveva con la madre nell'appartamento contiguo al mio. Avevamo in comune il terrazzino interno, separato da una griglia di ferro. Ricordo che dalla sua parte Pasolini aveva collocato una statua di legno, un angelo tarlato: la madre dello scrittore aveva protetto l'angelo dalle intemperie con un ombrello sempre aperto. Più tardi, quando le vicende della vita mi portarono in Svezia, facendomi interrompere per due anni ogni contatto con Roma, ebbi modo di leggere una poesia di Pasolini che recitava: " Quell'angelo un po' malandro / comprato a Porta Portese".
Con Pasolini, che era già un notissimo poeta e che aveva fatto scalpore con i suoi due primi romanzi. "Ragazzi di vita" e "Una vita violenta", eravamo ai saluti formali quando il caso si riaffacciò nella mia esistenza. Una sera, tornando a casa dal lavoro - insegnavo francese in vari istituti, statali e parificati, la mattina e il pomeriggio inoltrato - ebbi la sorpresa di ritrovarmelo in casa, con un cacciavite in mano, che armeggiava dietro il televisore di famiglia. Era accaduto che la mia prima moglie, che non era priva di disinvoltura, avendo avuto un guasto all'apparecchio, aveva pensato di rivolgersi all'inquilino della porta accanto. Sollevato dal mio rientro. Pasolini mi consegnò l'arnese e mi confessò che l'elettrodomestico parlante gli era del tutto sconosciuto. Simpatizzammo subito e ci vedemmo più volte, da me o da lui. Pasolini era molto interessato al teatro e io gli parlavo delle novità d'Oltr'Alpe: dopo la rivelazione ero diventato un assiduo frequentatore delle salette parigine, avevo visto pièces di autori pressoché sconosciuti in Italia, come Beckett, Shéhadé, Vauthier, Adamov. E quando tornai a Parigi Pasolini mi chiese di contattare il suo traduttore francese, Michel Breitman, che si trovava a disagio con il gergo romanesco- periferico-meridionale dei pischelli pasoliniani. Feci dei mio meglio, ma l'impresa era pressoché disperata. Tornato a Roma, osai. Gli feci leggere il mio atto unico, "Il sesso dipoi ", malgrado contenesse una battuta che avrebbe potuto dargli fastidio: - Porco, parli peggio di Pier Paolo Pasolini! - E invece Pasolini, divertito, mi mandò da Luigi Candoni, suo amico e commediografo, che stava dirigendo una Rassegna di Teatro dell'Assurdo a Roma. Candoni lesse, approvò, e dopo un mese il mio testo vide la luce, al Teatro Pirandello. L'esito fu incoraggiante: Carlo Terron. critico-autore milanese, intitolò così il suo articolo, apparso su "La Notte" di Milano: "E' nato lo lonesco italiano". Grazie a queste fortuite circostanze, il primo testo di un autore genovese di formazione culturale francese, con la sponsorizzazione di Pasolini, scrittore bolognese nato però, poeticamente, nel Friuli, e di Luigi Candoni, "furlano" autentico, andò in scena nel teatro romano intitolato a Pirandello, scrittore siciliano, con il beneplacito di Carlo Terron, autore milanese.
Nel selezionare un quarto di tutti i miei testi per la presente edizione mi sono reso conto che la dicitura "teatro politico e civile" non è per me una vuota etichetta. E' vero che tutto il teatro è politico, tranne quello politico, che è quasi sempre teatro di mera propaganda, cioè non-teatro. Tuttavia la mia refrattaria indole individualistica mi ha sempre tenuto lontano dai partiti e mi ha autonomamente fatto privilegiare temi sociali e spunti civili di attualità, anche quando venivano da lontano. Narrare il passato per ammonire il presente, questa massima gramsciana mi è stata di guida. Parlare dell'oggi, malgrado i rischi del cronachismo giornalistico; tentare di non raccontare favole non significanti; comunicare emozioni che in qualche modo toccano i nervi scoperti della nostra società: ecco, questo è stato e continua ad essere il mio lavoro, non di rado artigianale, talora professorale, a volte sofferto ma più spesso felice, al di là dei risultati.
Per costruire questo arco parabolico ho fatto ricorso a tutte le risorse che offre il nostro mestiere: scrittura di testi a più voci o di monologhi su commissione, pubblica o privata; utilizzazione sistematica dei miei sogni, già singolarmente serviti sul piatto scenico; collaborazione con musicisti per la compilazione di commedie musicali o di veri e propri "musicals "; impiego della cronaca, della storia e di quella storia con più fantasia che è la leggenda; elaborazione di racconti orali e di opere letterarie ritenute adatte alla drammatizzazione; studio dei meccanismi comici e umoristici per carpirne i segreti e, infine, ricerca di rigorosi materiali biografici per tracciare credibili, o almeno plausibili, ritratti di varia umanità.
Sarebbe inutile, in questa sede, citare uno o più testi "a cui sono più affezionato", come rispondendo ad un insulso quiz televisivo. Tutto quello che ho scritto per il teatro è stato rappresentato, cioè "consegnato" al pubblico, ai teatranti, agli esperti. Che altro dire? Credo di avere dato qualcosa al teatro, ma il teatro mi ha dato molto di più, enormemente di più. Mi ha riempito mezzo secolo di vita.

Mario Moretti

 

 

I testi contenuti all'interno del sito web www.mariomoretti.com sono tutelati dalla S.I.A.E., pertanto ne è vietato ogni utilizzo, anche se parziale.
sito realizzato da
Leone Orfeo